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Ribelle, Pedina, Re
Morgan Rice


Di Corone e di Gloria #4
Morgan Rice è tornata con quella che promette essere un’altra brillante serie, immergendoci in un fantasy di valore, onore, coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è risuscita un’altra volta a creare un forte gruppo di personaggi che ci fanno tifare per loro pagina dopo pagina… Consigliato per la collezione di tutti i lettori che amano i fantasy ben scritti. Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (approposito di L’Ascesa dei Draghi) RIBELLE, PEDINA, RE è il quarto libro #4 nella seria epic fantasy campione d’incassi di Morgan Rice DI CORONE E DI GLORIA, che inizia con SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA (Libro #1) . La diciasettenne Ceres, una bellissima ma povera ragazza proveniente da Delo, città dell’Impero, si sveglia e si trova imprigionata. Il suo esercito è stato distrutto, la sua gente catturata, la ribellione annientata e lei deve in qualche modo rimettere insieme i pezzi dopo essere stata tradita. La sua gente potrà mai insorgere di nuovo?Tano naviga verso l’Isola dei Prigionieri, pensando che Ceres sia viva, ma si trova lui stesso in una trappola. Durante il suo pericoloso viaggio resta tormentato dall’idea di Stefania, da sola con il bambino, e si sente combattuto riguardo alla via da seguire nella sua vita. Ma mentre lotta per fare ritorno a Delo per trovare entrambi i suoi amori, si imbatte in un tradimento così grande che la sua vita non potrà mai più essere la stessa. Stefania, una donna cocciuta, non se ne sta con le mani in mano. Rivolge tutto il potere della sua furia su colui che ama di più, e il suo inganno, il più pericoloso di tutti, potrebbe essere proprio quello che abbatte il regno una volta per tutte. RIBELLE, PEDINA, RE narra il racconto epico di un amore tragico, vendetta, tradimento, ambizione e destino. Pieno di personaggi indimenticabili e azione mozzafiato, ci trasporta in un modo che non dimenticheremo mai e ci fa innamorare ancor più del genere fantasy. Un fantasy pieno zeppo d’azione che di sicuro i precedenti fan di Morgan Rice apprezzeranno, insieme agli amanti di opere come Il Ciclo dell’Eredità di Christopher Paolini… Coloro che adorano leggere romanzi fantasy per ragazzi divoreranno quest’ultima opera di Morgan Rice e ne chiederanno ancora. The Wanderer, A Literary Journal (riguardo a L’Ascesa dei Draghi) Il quinto libri #5 de DI CORONE E DI GLORIA è di prossima uscita!







RIBELLE, PEDINA, RE



(DI CORONE E DI GLORIA--LIBRO 4)



MORGAN RICE



TRADUZIONE ITALIANA

A CURA DI



ANNALISA LOVAT


Morgan Rice



Morgan Rice è l’autrice numero uno e campionessa d’incassi della serie epic fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE che comprende diciassette libri; della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO che comprende dodici libri; della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende tre libri; della serie epic fantasy RE E STREGONI che comprende sei libri e della nuova serie epic fantasy DI CORONE E DI GLORIA. I libri di Morgan sono disponibili in formato audio o cartaceo e ci sono traduzioni in 25 lingue.

Morgan ama ricevere i vostri messaggi e commenti, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.morganricebooks.com (http://www.morganricebooks.com/) per iscrivervi alla sua mailing list, ricevere un libro in omaggio, gadget gratuiti, scaricare l’app gratuita e vedere in esclusiva le ultime notizie. Connettetevi a Facebook e Twitter e tenetevi sintonizzati!


Cosa dicono di Morgan Rice



“Se pensavate che non ci fosse più alcuna ragione di vita dopo la fine della serie L’ANELLO DELLO STREGONE, vi sbagliavate. In L’ASCESA DEI DRAGHI Morgan Rice è arrivata a ciò che promette di essere un’altra brillante saga, immergendoci in un mondo fantastico fatto di troll e draghi, di valore, onore e coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a creare un forte insieme di personaggi che ci faranno tifare per loro pagina dopo pagina… Consigliato per la biblioteca permanente di tutti i lettori amanti dei fantasy ben scritti.”

--Books and Movie Reviews

Roberto Mattos



“Un fantasy pieno zeppo di azione che sicuramente verrà apprezzato dai fan dei precedenti romanzi di Morgan Rice insieme ai sostenitori di opere come il CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini... Amanti del fantasy per ragazzi divoreranno quest'ultima opera della Rice e imploreranno di averne ancora.”

--The Wanderer, A Literary Journal (Parlando de L'Ascesa dei Draghi)



“Un meraviglioso fantasy nel quale si intrecciano elementi di mistero e intrigo. Un’impresa da eroi parla della presa di coraggio e della realizzazione di uno scopo di vita che porta alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per quelli che cercano corpose avventure fantasy: qui i protagonisti, gli stratagemmi e l’azione forniscono un vigoroso insieme di incontri che ben si concentrano sull’evoluzione di Thor da ragazzino sognatore e giovane che affronta l’impossibile pur di sopravvivere… Solo l’inizio di ciò che promette di essere una serie epica per ragazzi.”

--Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)



“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”

--Books and Movie Reviews, Roberto Mattos



“In questo primo libro pieno zeppo d’azione della serie epica fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), la Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin “Thor” McLeod, il cui sogno è quello di far parte della Legione d’Argento, i migliori cavalieri al servizio del re… Lo stile narrativo della Rice è solido e le premesse sono intriganti.”

--Publishers Weekly


Libri di Morgan Rice



COME FUNZIONA L’ACCIAIO

SOLO CHI LO MERITA (Libro #1)



DI CORONE E DI GLORIA

SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA (Libro #1)

FURFANTE, PRIGIONIERA, PRINCIPESSA (Libro #2)

CAVALIERE, EREDE, PRINCIPE (Libro #3)

RIBELLE, PEDINA, RE (Libro #4)

SOLDATO, FRATELLO, STREGONE (Libro #5)



RE E STREGONI

L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)

L’ASCESA DEL PRODE (Libro #2)

IL PESO DELL’ONORE (Libro #3)

LA FORGIA DEL VALORE (Libro #4)

IL REGNO DELLE OMBRE (Libro #5)

LA NOTTE DEI PRODI (Libro #6)

L’ANELLO DELLO STREGONE

UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)

LA MARCIA DEI RE (Libro #2)

DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)

GRIDO D’ONORE (Libro #4)

VOTO DI GLORIA (Libro #5)

UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)

RITO DI SPADE (Libro #7)

CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)

UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)

UN MARE DI SCUDI (Libro #10)

REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)

LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)

LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)

GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)

SOGNO DA MORTALI (Libro #15)

GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)

IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)



LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA

ARENA UNO: MERCANTI DI SCHIAVI (Libro #1)

ARENA DUE (Libro #2)

ARENA TRE (Libro #3)



VAMPIRO, CADUTO

PRIMA DELL’ALBA (Libro #1)



APPUNTI DI UN VAMPIRO

TRAMUTATA (Libro #1)

AMATA (Libro #2)

TRADITA (Libro #3)

DESTINATA (Libro #4)

DESIDERATA (Libro #5)

PROMESSA (Libro #6)

SPOSA (Libro #7)

TROVATA (Libro #8)

RISORTA (Libro #9)

BRAMATA (Libro #10)

PRESCELTA (Libro #11)

OSSESSIONATA (Libro #12)













Ascolta la serie L’ANELLO DELLO STREGONE in formato audio libro!


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Copyright © 2016 by Morgan Rice. All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author. This ebookis licensed for your personal enjoyment only. This ebookmay not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author. This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.

Jacket image Copyright Ivan Bliznetsov, used under license from istock.com.


INDICE



CAPITOLO UNO (#u62d08fbe-40dd-5c46-9f45-1abe91b19469)

CAPITOLO DUE (#u9d4eb771-6821-5cc0-9c6a-5c59d87aabd6)

CAPITOLO TRE (#u3f6408a4-b081-5d8a-ac0d-c34522f78150)

CAPITOLO QUATTRO (#ua6bcd65e-3427-5d28-9d49-fe10d129ad6b)

CAPITOLO CINQUE (#u26971208-4d43-5fec-b02b-920ca222d757)

CAPITOLO SEI (#ub6d2d48d-5b2e-5bf2-bf4b-7f0e33c86e5f)

CAPITOLO SETTE (#u7285bfaa-b163-5c03-a5ed-2a235f70a59a)

CAPITOLO OTTO (#uae141566-7e29-5ca7-b22c-c9c5625a4b7c)

CAPITOLO NOVE (#uaf936c73-4185-563f-9093-5d94981d4d2a)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTICINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTINOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTA (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTUNO (#litres_trial_promo)




CAPITOLO UNO


Tano sentiva una stretta allo stomaco mentre la nave dondolava solcando il mare che, a ogni variazione di corrente lo portava sempre più lontano da casa. Non si vedeva terraferma da giorni ormai. Stava in piedi sulla prua dell’imbarcazione e guardava l’acqua, in attesa del momento in cui finalmente avrebbe scorto qualcosa. Il solo pensiero di cosa poteva esserci più avanti – di chi poteva esserci – lo tratteneva dall’ordinare al capitano di far tornare la nave sui suoi passi.

Ceres.

Era là fuori da qualche parte e lui l’avrebbe trovata.

“Ne sei sicuro?” chiese il capitano avvicinandoglisi. “Non c’è nessuno che io conosca che voglia andare all’Isola dei Prigionieri.”

Cosa poteva rispondergli Tano? Che non lo sapeva? Che si sentiva un po’ come quella barca, portata avanti dai suoi remi anche se il vento cercava di spingerla indietro?

Il bisogno di trovare Ceres però superava tutto il resto. Guidava Tano, riempiendolo di eccitazione all’idea di trovarla. Era stato così certo che fosse morta e che non l’avrebbe mai più rivista. Quando aveva sentito che poteva essere viva, il sollievo lo aveva pervaso, lo aveva fatto quasi svenire.

Non poteva però negare che nella sua mente ci fossero anche pensieri di Stefania, pensieri che lo facevano guardare indietro e che addirittura, per un attimo, gli facevano desiderare di tornare indietro. Dopotutto era sua moglie e lui l’aveva abbandonata. Portava in grembo suo figlio, e lui se n’era andato. L’aveva lasciata lì sul molo. Che razza di uomo faceva una cosa del genere?

“Ha cercato di uccidermi,” ricordò Tano a se stesso.

“Cosa c’è?” chiese il capitano, e Tano si rese conto di aver parlato a voce alta.

“Niente,” rispose. “La verità è che non lo so. Sto cercando una persona, e l’Isola dei Prigionieri è l’unico posto dove potrebbe essere finita.”

Sapeva che la nave di Ceres era affondata lungo il suo viaggio verso l’isola. Se era sopravvissuta, allora aveva senso che lei ce l’avesse fatta ad arrivare fino a lì, giusto? Questo spiegava anche perché Tano non aveva visto fino a quel momento nessuna traccia di lei. Se fosse stata capace di tornare da lui, Tano voleva credere che l’avrebbe fatto.

“Pare un rischio orrendo da correre per non saperlo,” disse il capitano.

“Per lei ne vale la pena,” gli assicurò Tano.

“Dev’essere qualcosa di speciale per essere meglio della signora Stefania,” disse il contrabbandiere con un tono di voce lascivo che fece venire voglia a Tano di tirargli un pugno.

“È mia moglie quella di cui stai parlando,” disse Tano, e riconobbe subito l’ovvio problema.

Non poteva certo difenderla dopo che era stato lui stesso ad abbandonarla e considerato il fatto che lei aveva ordinato la sua morte. Probabilmente meritava qualsiasi cosa la gente dicesse di lei.

Ora, se solo fosse riuscito a convincersi di questo. Se solo i suoi pensieri di Ceres non continuassero ad essere inframezzati da pensieri di Stefania: mentre era con lui alla festa al castello, durante i momenti di quiete, come lo aveva guardato la mattina dopo il loro matrimonio…

“Sei certo di potermi portare sano e salvo all’Isola dei Prigionieri?” chiese Tano. Non ci era mai stato, ma l’isola intera era intesa come una fortezza ben sorvegliata, impossibile da sfuggire per coloro che vi venivano portati.

“Oh, è piuttosto semplice,” lo rassicurò il capitano. “Ci passiamo qualche volta. Le guardie vendono alcuni prigionieri che hanno ridotto in schiavitù. Li legano a dei pali sulla riva in modo che li vediamo man mano che ci avviciniamo.”

Tano aveva già deciso da un pezzo che odiava quell’uomo. Teneva il commento per sé comunque, perché in quel momento quel contrabbandiere era l’unica possibilità che aveva per arrivare all’isola e trovare Ceres.

“Non desidero esattamente imbattermi nelle guardie,” sottolineò.

L’uomo scrollò le spalle. “Anche questo è facile. Ci avviciniamo, ti lasciamo su una barchetta e proseguiamo come se fosse una normalissima visita. Poi ti aspettiamo al largo della costa. Non troppo, bada bene. Se aspettiamo troppo potrebbero immaginare che stiamo facendo qualcosa di sospettoso.”

Tano non aveva alcun dubbio che quel bandito l’avrebbe abbandonato, data la minaccia per la sua nave. Solo la prospettiva di profitto l’aveva portato a quel punto. Un uomo come quello certo non poteva capire l’amore. Per lui si trattava probabilmente di qualcosa che si prendeva in affitto a ore vicino al molo. Ma aveva portato Tano a quel punto. Era questo che contava.

“Ti rendi conto che anche se trovi questa donna sull’Isola dei Prigionieri,” disse il capitano, “potrebbe non essere come te la ricordi?”

“Ceres sarà sempre Ceres,” insistette Tano.

Sentì l’altro uomo fare una smorfia. “Facile da dire, ma non sai le cose cha fanno in questo posto. Alcuni di quelli che ci vendono come schiavi sono ridotti in condizioni tali da non essere più in grado di fare nulla da soli se non glielo ordiniamo.”

“E sono certo che ne siete contenti,” disse Tano con tono secco.

“Non ti piaccio molto, eh?” chiese il capitano.

Tano ignorò la domanda e continuò a fissare il mare. Entrambi sapevano la risposta e in quel momento lui aveva cose migliori a cui pensare. Doveva trovare un modo di localizzare Ceres, qualsiasi fosse…

“Quella è terraferma?” chiese indicando.

Non era niente più che un puntino all’orizzonte all’inizio, ma anche così sembrava cupa, circondata da nuvole e da onde impetuose. Man mano che si faceva più grande, Tano poté provare un senso di oscuro presagio crescere in lui.

L’isola si ergeva in una serie di picchi di granito che sembravano i denti di una qualche grossa bestia. Un bastione era collocato in cima alla punta più alta dell’isola, un faro al di sopra di esso era costantemente acceso, come ad avvisare tutti coloro che potevano avvicinarsi. Tano vide degli alberi da un lato dell’isola, ma la maggior parte dell’area pareva spoglia.

Ma quando furono più vicini, poté scorgere delle finestre che sembravano intagliate direttamente nella roccia dell’isola, come se l’intero posto fosse stato scavato per rendere la prigione più grande. Vide anche delle spiagge di argillite, con ossa bianche candide che protrudevano dal suolo. Tano udì delle grida e impallidì rendendosi conto che non era in grado di distinguere se si trattasse di uccelli di mare o di persone.

Tano fece scivolare la sua barchetta fino alla riva, rabbrividendo di disgusto alla vista di manette sistemate lì sotto la linea della marea. La sua immaginazione gli fece subito capire a cosa servissero: per torturare o uccidere i prigionieri usando le onde. Una serie di ossa abbandonate sulla spiaggia raccontava già di per sé la propria storia.

Il capitano della nave di contrabbandieri si voltГІ verso di lui e sorrise.

“Benvenuto all’Isola dei Prigionieri.”




CAPITOLO DUE


A Stefania il mondo sembrava cupo senza Tano lì con lei. Le pareva freddo nonostante il calore del sole, nonostante il via vai della gente che animava il castello. Guardò verso la città. Avrebbe felicemente dato fuoco a tutto, dato che niente di tutto ciò significava più niente per lei. Tutto ciò che poteva fare era sedere vicino alle finestre della sua stanza e sentirsi come se qualcuno le avesse strappato il cuore dal petto.

Forse qualcuno l’avrebbe potuto fare. Aveva rischiato tutto per Tano, dopotutto. Qual era precisamente il pegno per aver assistito un traditore? Stefania conosceva la risposta, perché era la stessa a qualsiasi altra questione nell’Impero: qualsiasi cosa il re avrebbe deciso. Aveva pochi dubbi che l’avrebbe voluta morta per questo.

Una delle sue damigelle le porse una tisana d’erbe calmante. Stefania la ignorò, anche quando la ragazza posò la tazza su un piccolo tavolino di pietra accanto a lei.

“Mia signora,” disse la ragazza, “alcune persone… si stanno chiedendo… non dovremmo fare preparativi per lasciare la città?”

“Lasciare la città,” disse Stefania. Poteva sentire quanto piatta e stupida risuonasse la sua stessa voce.

“È solo che… non siamo in pericolo? Con tutto quello che è successo, e tutto quello che voi ci avete fatto fare… per aiutare Tano.”

“Tano!” Il nome la scosse dal suo intontimento per un attimo, e subito seguì la rabbia. Stefania prese l’infuso di erbe. “Non osare nominare il suo nome, stupida ragazzina! Fuori! Vai fuori!”

Stefania lanciГІ la tazza con il suo contenuto fumante. La damigella si abbassГІ, cosa che era giГ  di per sГ© irritante, ma il rumore della tazza che andava in pezzi fece il resto. Il liquido marrone si riversГІ sul muro. Stefania ignorГІ tutto.

“Nessuno deve disturbarmi!” gridò alla ragazza. “O ti farò scuoiare viva per questo!”

Stefania aveva bisogno di stare da sola con i suoi pensieri, anche se erano pensieri tanto oscuri che una parte di lei avrebbe voluto gettarsi dal balcone delle stanza per farla finita e basta. Tano se n’era andato. Tutto quello che lei aveva fatto, tutto ciò per cui aveva lavorato, e Tano se n’era andato. Non aveva mai creduto nell’amore prima di lui: era sempre stata convinta che fosse una debolezza che portava solo al dolore. Ma con lei era sembrato che valesse la pena correre il rischio. Ora veniva fuori che lei aveva sempre avuto ragione. L’amore rendeva solo più facile per il mondo farti del male.

Stefania sentì il rumore della porta che si apriva e si voltò alla ricerca di qualcos’altro da lanciare.

“Ho detto che non voglio essere disturbata!” disse con forza, prima di vedere di chi si trattasse.

“Non è di massima riconoscenza,” disse Lucio entrando nella stanza, “considerato che ho dovuto riaccompagnarti qui con attenzione per tenerti al sicuro.”

Lucio era vestito come una specie di principe venuto fuori da un libro di fiabe, in velluto bianco lavorato con gemme e intarsi dorati. Aveva il pugnale alla cintura, ma si era tolto armatura e spada. Addirittura i capelli sembravano appena lavati, liberi di ogni sporcizia della cittГ . A Stefania sembrava piГ№ un uomo pronto a cantare delle canzoni sotto alla sua finestra che uno che doveva occuparsi della difesa della cittГ .

“Accompagnarmi,” disse Stefania sorridendo a denti stretti. “Proprio la parola giusta.”

“Mi sono accertato che percorressi sana e salva le strade della nostra città, devastate dalla guerra,” disse Lucio. “I miei uomini si sono assicurati che non finissi preda dei ribelli o che venissi rapita da quel marito omicida che ti ritrovi. Non sapevi che era scappato?”

Stefania si accigliГІ. A che gioco stava giocando Lucio?

“Certo che lo so,” rispose Stefania con tono secco. Si alzò perché non le piaceva che Lucio torreggiasse su di lei. “C’ero.”

Vide Lucio sollevare un sopracciglio per finta sorpresa. “Perché, Stefania? Stai forse ammettendo una qualche complicità nella fuga di tuo marito? Perché nessuna delle prove punta in questa direzione.”

Stefania lo guardò negli occhi. “Cos’hai fatto?”

“Non ho fatto niente,” disse Lucio con evidente divertimento. “In effetti sto ardentemente cercando la verità della questione. Molto ardentemente.”

Il che per Lucio significava torturare la gente. Stefania non aveva alcuna obiezione contro la crudeltГ , ma certo non ne godeva quanto lui.

Sospirò. “Smettila di fare giochetti, Lucio. Cos’hai fatto?”

Lucio scrollò le spalle. “Ho visto che le cose funzionano come voglio io,” disse. “Quando parlerò con mio padre, gli dirò cha Tano ha ucciso un certo numero di guardie per uscire, e che un’altra ha ammesso di averlo aiutato per simpatie con i ribelli. Purtroppo non è sopravvissuto per poter raccontare la sua storia di nuovo. Cuore debole.”

Lucio evidentemente si era assicurato che nessuno fosse sopravvissuto tra coloro che avevano visto Stefania lì. Persino Stefania provò disgusto per tale crudeltà, anche se un’altra parte di lei stava già elaborando il significato di tutto il contesto.

“Tristemente, pare che una delle tue damigelle sia rimasta invischiata nella faccenda,” disse Lucio. “Pare che Tano l’abbia sedotta.”

La rabbia lampeggiò in Stefania a quel punto. “Sono le mie damigelle!”

Non era solo il pensiero che venisse fatto del male a donne che l’avevano servita così lealmente, anche se faceva comunque piuttosto male. Era il pensiero che Lucio avesse osato nuocere a qualcuno che apparteneva così ovviamente a lei. Non era quindi solo il pensiero che qualcuno al suo servizio fosse stato offeso. Era l’insulto in sé!

“Era questo il punto,” disse Lucio. “Troppe persone ti avevano visto qui in giro. E quando ho offerto alla ragazza la vita in cambio di qualsiasi cosa sapesse, mi è stata molto di aiuto.”

Stefania distolse lo sguardo. “Perché fare tutto questo, Lucio? Avresti potuto lasciare che mi arrangiassi con Tano.”

“Tano non ti meritava,” disse Lucio. “Di certo non meritava essere felice.”

“E perché hai coperto il mio ruolo nella faccenda?” gli chiese Stefania. “Avresti potuto startene da parte e guardare la condanna a morte.”

“Ci ho pensato,” ammise Lucio. “O almeno ho pensato di chiederti al re quando gliel’avessimo detto. Ma c’erano troppe possibilità che lui semplicemente ti condannasse a morte direttamente, e non potevamo permettercelo.”

Solo Lucio avrebbe parlato di una cosa del genere così apertamente, o avrebbe pensato che Stefania fosse semplicemente qualcosa da poter chiedere a suo padre come una qualche preziosa chincaglieria. Solo il pensiero le faceva accapponare la pelle.

“Ma poi mi è venuto in mente,” disse Lucio, “che mi sto godendo un po’ troppo il giochino tra noi per fare una cosa del genere. Ad ogni modo non è il modo in cui ti voglio. Voglio che tu sia una mia pari, la mia compagna. Veramente mia.”

Stefania fece un passo verso il balcone, più che altro per una boccata d’aria fresca. Così da vicino il profumo di Lucio era di costosa acqua di rose ed essenze ovviamente designati per mascherare il sangue derivato dalle azioni della giornata.

“Cosa stai dicendo?” chiese Stefania, anche se aveva già una discreta idea di cosa Lucio volesse da lei. Era diventato ormai un suo compito quello di scoprire ciò che c’era da sapere sugli altri a corte, inclusi gli appetiti di Lucio.

Anche se forse non aveva fatto poi un ottimo lavoro. Non si era resa conto che Lucio si era introdotto nella sua rete di informatori e spie. Non aveva neanche saputo delle cose che Tano stava facendo, fino a che non era stato troppo tardi.

PerГІ non poteva certo paragonare i due. Lucio era completamente privo di morale e barriere, sempre alla ricerca di modi nuovi per fare del male agli altri. Tano era forte e pieni di sani principi, amorevole e protettivo.

Ma era stato lui a lasciarla. L’aveva abbandonata, sapendo bene cosa sarebbe potuto succedere poi.

Lucio allungò una mano per prendere la sua, stringendola in modo più gentile di quanto normalmente facesse. Anche così però Stefania dovette scacciare l’urgenza di fare una smorfia mentre lui si portava la sua mano alle labbra e le baciava l’interno del polso, proprio dove pulsava il sangue.

“Lucio,” disse Stefania tirando via la mano. “Sono una donna sposata.”

“L’ho raramente trovata una barriera,” sottolineò Lucio. “E ad essere onesti, Stefania, dubito che per te sia diverso.”

La rabbia di Stefania a quel punto avvampò di nuovo. “Tu non sai nulla di me.”

“So tutto di te,” disse Lucio. “E più vedo, più mi rendo conto che te ed io siamo fatti l’uno per l’altra.”

Stefania si allontanò, ma Lucio la seguì. Ovvio. Non era certo un uomo abituato ad essere negato.

“Pensaci, Stefania,” disse Lucio. “Pensavo non fossi nient’altro che una testa vuota, ma poi ho saputo della tela di ragno che hai tessuto in tutta Delo. Sai allora cos’ho provato?”

“Rabbia per essere stato preso in giro?” suggerì Stefania.

“Attenta,” disse Lucio. “Non ti piacerebbe avermi in collera con te. No, ho provato ammirazione. All’inizio pensavo che potessi andare bene per essere portata a letto una volta o due. Poi ho pensato che potessi essere una donna che capiva veramente come funziona il mondo.”

Oh, Stefania lo capiva meglio di quanto potesse comprendere uno come Lucio. Lui aveva la sua posizione a proteggerlo da qualsiasi cosa il mondo gli avesse gettato addosso. Stefania aveva solo la sua furbizia.

“E hai pensato che potessimo essere la coppia perfetta,” disse Stefania. “Allora dimmi, cos’hai pensato di fare del mio matrimonio con Tano?”

“Queste sono cose che si possono mettere da parte,” disse Lucio come se fosse semplice quanto schiccare le dita. “Dopo quello che ha fatto, pensavo fossi felice di essere libera da quel legame.”

Ci sarebbe stato un vantaggio a farlo fare ai preti, perché altrimenti Stefania avrebbe rischiato di essere macchiata dai crimini di Tano. Sarebbe sempre stata la donna sposata con il traditore, anche se Lucio aveva assicurato che nessuno l’avrebbe mai potuta collegare ai crimini.

“O se non lo vuoi,” disse Lucio, “sono certo che non ci vorrà molto per accertarsi del suo decesso. Dopotutto ci eri già quasi riuscita una volta. Indipendentemente da dove sia andato, si potrebbe organizzare un altro assassinio. Potresti restare in lutto per… un periodo adeguato. Sono certo che il nero ti starebbe bene. Sei adorabile con qualsiasi cosa tu ti metta addosso.”

C’era qualcosa nell’aspetto di Lucio che metteva Stefania a disagio, come se stesse cercando di indovinare come sarebbe sembrata senza niente addosso. Lo guardò dritto negli occhi cercando di mantenere un tono formale.

“E poi?” gli chiese.

“E poi ti sposi un principe più adatto,” disse Lucio. “Pensa a tutto quello che potremmo fare insieme, con le cose che sai tu e le cose che posso fare io. Potremmo governare l’Impero insieme e la ribellione non ci toccherebbe mai. Devi ammetterlo, saremmo una coppia adorabile.”

Stefania allora rise. Non poté trattenersi. “No, Lucio. Non lo saremmo, perché non provo niente per te, se non sdegno. Sei un criminale, e peggio ancora sei il motivo per cui ho perso tutto. Perché dovrei mai prendere in considerazione l’idea di sposarti?”

Vide il volto di Lucio farsi duro.

“Potrei farti fare,” disse Lucio, “potrei farti fare tutto quello che voglio. Pensi che potrei far sapere della tua parte nella fuga di Tano? Magari ho tenuto da parte quella tua damigella, per sicurezza.”

“Per cercare di forzarmi a sposarti?” disse Stefania. Quale razza di uomo avrebbe mai fatto una cosa del genere?

Lucio allargò le braccia. “Non sei così diversa da me, Stefania. Tu giochi. Non vorresti mai che qualche scemo venisse da te con fiori e gioielli. E poi impareresti ad amarmi. Che tu lo voglia o no.”

Allungò ancora una mano verso di lei e Stefania gli mise una mano sul petto. “Toccami, e non uscirai vivo da questa stanza.”

“Vuoi che riveli la tua parte nell’aiutare Tano a fuggire?” le chiese.

“Dimentichi la tua parte,” disse Stefania. “Dopotutto sapevi tutto di questa cosa. Come reagirebbe il re se glielo dicessi?”

Si aspettava ira da Lucio, magari anche violenza. Invece lo vide sorridere.

“Sapevo che eri perfetta per me,” le disse. “Anche nella tua posizione trovi un modo di reagire, e lo fai meravigliosamente. Insieme non ci sarà nulla che non potremo fare. Ti ci vorrà del tempo per capirlo, lo so. Ne hai passate tante.”

Aveva la perfetta espressione dell’ideale spasimante preoccupato, cosa che indusse Stefania a fidarsi ancor meno di lui.

“Prenditi il tempo di pensare a tutto quello che ho detto,” disse Lucio. “Pensa a tutto quello che un matrimonio con me potrebbe offrirti. Certo se paragonato allo stato di una donna che è stata sposata con un traditore. Potrai anche non amarmi ancora, ma la gente come noi non prende decisioni basate su quel tipo di follia. Ne compiamo perché siamo superiori e riconosciamo quelli come noi quando li vediamo.”

Stefania non era per niente come Lucio, ma sapeva che non era il caso di dirlo. Voleva solo che se ne andasse.

“Nel frattempo,” disse Lucio vedendo che non gli rispondeva, “ho un regalo per te. La tua damigella ha pensato che potessi averne bisogno. Mi ha detto ogni genere di cosa su di te mentre implorava che la lasciassi in vita.”

Trasse una fiala dalla tasca che aveva alla cintura e la mise sul tavolino accanto alla finestra.

“Mi ha detto del motivo per cui sei dovuta scappare dalla festa della luna di sangue,” disse Lucio. “Mi ha detto della tua gravidanza. Chiaramente non potrei mai allevare il figlio di Tano. Bevi questo, e non ci saranno problemi. In nessun senso.”

Stefania avrebbe voluto gettargliela addosso quella fiala. La prese proprio per questo motivo, ma era giГ  arrivato alla porta.

AndГІ verso di lui per gettargliela comunque, ma si fermГІ, tornando alla finestra e fissando la boccetta.

Era trasparente, la luce del sole la attraversava e la faceva apparire più innocente di quanto fosse. Se la beveva sarebbe stata libera di sposare Lucio, il che era un pensiero orribile. Ma questo l’avrebbe anche messa in una posizione pericolosissima all’interno dell’Impero. Se la beveva gli ultimi rimasugli di Tano sarebbero spariti.

Stefania rimase lì non sapendo cosa fare e lentamente le lacrime iniziarono a scenderle lungo le guance.

Magari dopotutto l’avrebbe bevuta.




CAPITOLO TRE


Ceres lottava disperatamente cercando di riprendere conoscenza, spingendo tra i veli di buio che la bloccavano a terra, come una donna che sta annegando e che si dimena nel tentativo di risalire in superficie. Ancora sentiva le grida dei morenti. L’imboscata. La battaglia. Doveva sforzarsi di svegliarsi, o sarebbe andato tutto perduto…

Gli occhi le si aprirono di scatto e lei balzò in piedi, pronta a combattere ancora. Ad ogni modo ci provò. C’era qualcosa che le teneva fermi polsi e caviglie. Il sonno finalmente la lasciò e Ceres vide dove si trovava.

Muri di pietra la circondavano, incurvandosi in uno spazio largo appena da consentirle di starvi sdraiata dentro. Non c’era nessuno letto, solo il duro pavimento di pietra. Una piccola finestra sbarrata lasciava trapelare la luce. Ceres poteva sentire il costrittivo peso dell’acciaio attorno ai polsi e alle caviglie e vide la massiccia staffa alla quale erano fissate le catene che la tenevano al muro. La spessa porta chiusa con barre di ferro dichiarava il suo stato di prigioniera. La catena scompariva attraverso una fessura nella porta, suggerendo che avrebbero potuto tirarla indietro da fuori, fino alla staffa, bloccandola al muro.

La rabbia pervase Ceres quando si rese conto di essere bloccata lГ  dentro a quel modo. TirГІ la catena cercando semplicemente di tenderla dal muro con la forza che le veniva dai suoi poteri. Non accadde nulla.

Era come se nella sua mente ci fosse una sorta di nebbia e lei stesse cercando di vederci attraverso per scorgere il paesaggio oltre ad essa. Qua e lГ  la luce della memoria sembrava filtrare attraverso la nebbia, ma era qualcosa di frammentato.

Poteva ricordare i cancelli della città che si aprivano e i �ribelli’ che facevano loro segno di entrare. La corsa là dentro, gettandosi pienamente in quella che pensavano sarebbe stata la battaglia finale per la presa della città.

Ceres si accasciГІ indietro. Era dolorante e alcune ferite erano piГ№ profonde di quelle fisiche.

“Qualcuno ci ha traditi,” disse sottovoce.

Erano stati vicinissimi alla vittoria e qualcuno li aveva traditi in tutto. Per denaro, o per paura, o per necessitГ  di potere. Ad ogni modo qualcuno aveva ceduto tutto ciГІ per cui avevano lavorato e li aveva lasciati finire in trappola.

Ceres allora ricordГІ. RicordГІ il nipote di Lord West con una freccia che gli spuntava dalla gola, lo sguardo di incredulitГ  e impotenza sul volto prima di cadere di sella.

RicordГІ le frecce che avevano oscurato il sole, e le barricate, e il fuoco.

Gli uomini di Lord West avevano cercato di tirare in risposta agli arcieri che li avevano assaliti. Ceres aveva visto le loro doti di arcieri a cavallo mentre si dirigevano verso Delo, capaci di cacciare con archi piccoli e tirare a pieno galoppo se necessario. Quando avevano scoccato le prime frecce del contrattacco, Ceres aveva addirittura osato provare speranza, perchГ© sembrava che quegli uomini potessero essere capaci di prevalere su tutto.

Ma non era stato così. Con gli arcieri di Lucio nascosti sui tetti, si erano trovati troppo in svantaggio. Da qualche parte nel caos i calderoni di fuoco si erano uniti alle frecce e Ceres aveva provato vero orrore quando aveva visto gli uomini che iniziavano a bruciare. Solo Lucio avrebbe usato il fuoco come arma nella sua stessa città, senza preoccuparsise le fiamme si fossero allargate alle case circostanti. Ceres aveva visto i cavalli impennarsi e uomini cadere a terra mentre i loro destrieri andavano nel panico.

Ceres sarebbe dovuta essere capace di salvarli. Aveva cercato di tirare fuori il potere dentro di sГ© e aveva trovato solo vuoto, un buco nero dove invece ci sarebbero dovuti essere pronti la forza e il potere di distruggere i suoi nemici.

Li stava ancora cercando quando il suo cavallo aveva scartato e l’aveva fatta cadere…

Ceres forzò la mente a tornare al presente, perché c’erano dei luoghi in cui la sua memoria non voleva rimanere. Tuttavia il presente non era molto meglio, perché fuori Ceres poteva udire le grida di un uomo che ovviamente stava morendo.

Ceres si diresse alla finestra costringendosi ad andare fino al limite estremo consentitole dalle catene. Fu uno sforzo anche quello. Si sentiva come se qualcosa l’avesse graffiata dentro, strappandole via tutta la forza che poteva aver avuto prima. Era come se potesse a malapena stare in piedi, immaginarsi quindi di liberarsi dalle catene che la costringevano.

Riuscì ad arrivarci e strinse le mani attorno alle sbarre, come a volerle strappare. In verità però quelle erano quasi l’unica cosa che la aiutasse a reggersi in piedi. Quando guardò in basso verso il cortile che si trovava sotto alla sua nuova cella, ebbe bisogno di supporto.

Ceres vide lì gli uomini di Lord West, disposti in piedi in diverse righe. Avevano tutti addosso ancora i resti delle loro armature, anche se in molti casi dei pezzi si erano rotti o erano stati strappati via. E nessuno portava le proprie armi. Avevano le mani legate e in molti stavano inginocchiati. C’era qualcosa di triste in quella scena. Parlava della loro sconfitta più chiaramente di qualsiasi altra cosa.

Ceres riconobbe degli altri, dei ribelli, e la vista di quei volti portГІ una reazione ancora piГ№ viscerale. Gli uomini di Lord West erano venuti con lei per loro volontГ . Avevano rischiato le loro vite per lei, e Ceres se ne sentiva responsabile, ma le donne e gli uomini lГ  sotto erano persone che lei conosceva.

Vide Anka. Era legata al centro, le braccia bloccate dietro alla schiena, attorno a un palo, troppo in alto da consentirle di sedersi o inginocchiarsi per riposare. Una corda all’altezza della gola minacciava di strozzarla ogni qualvolta osasse rilassarsi. Ceres poté vedere il sangue sul suo volto, lasciato lì apposta, come se lei non avesse alcun valore.

Tutta quella scena bastГІ per farle venire la nausea. Erano amici, persone che in molti casi conosceva da anni. Alcuni di loro erano feriti. Un lampo di rabbia attraversГІ Ceres, perchГ© nessuno poteva aiutarli. Stavano invece in piedi o in ginocchio come i soldati.

E poi c’erano le cose accanto alle quali stavano aspettando. Ceres non sapeva per quanti di essi fossero, ma poteva immaginarlo basandosi sul resto. C’erano pali per trafiggere e blocchi per la decapitazione, patiboli e bracieri con ferri ardenti. E altro. Così tanto altro che Ceres poteva a malapena iniziare a comprendere la mente che poteva aver deciso tutto questo.

Poi vide Lucio tra loro e capì. Era tutta opera di Lucio, e in un certo senso anche colpa sua. Se solo fosse stata più veloce nel dargli la caccia quando aveva offerto la sua sfida. Se solo avesse trovato un qualche modo di ucciderlo prima di questo.

Lucio incombeva sul soldato che stava gridando, girando una spada conficcata in lui per tirargli fuori un chiaro suono di agonia. Ceres vide un piccolo gruppo di torturatori e boia incappucciati di nero attorno a lui che guardavano come se stessero prendendo nota, o possibilmente anche solo apprezzando qualcuno che dimostrava una contorta espressione della loro professione. Ceres avrebbe voluto arrivare a loro e ucciderli tutti.

Lucio sollevò lo sguardo e Ceres percepì il momento in cui i loro occhi si incrociarono. Era qualcosa di simile a quello di cui cantano i bardi quando descrivono gli occhi degli amanti che si incrociano in una stanza, solo che qui c’era solo odio. Proprio in quel momento Ceres avrebbe ucciso Lucio in qualsiasi modo, e poté vedere cosa lui aveva in serbo per lei.

Vide il suo sorriso allargarsi lentamente ad illuminare i suoi tratti e lo osservò dare alla spada un ultimo giro, sempre con gli occhi fissi su di lei, prima di raddrizzarsi e pulirsi con noncuranza le mani sporche di sangue su uno straccio. Rimase lì come un attore che sta per fare un discorso a un pubblico in attesa. Agli occhi di Ceres non sembrava niente più che un macellaio.

“Ogni uomo e donna qui presente è un traditore dell’Impero,” dichiarò Lucio. “Ma penso che tutti noi sappiamo che non è colpa vostra. Siete stati fuorviati. Corrotti da altri. Corrotti da uno in particolare.”

Ceres lo vide lanciare un’altra occhiata verso di lei.

“Quindi ho intenzione di offrire grazia alla gente ordinaria tra voi. Strisciate da me. Implorate di essere fatti schiavi, e vi verrà permesso di vivere. L’Impero ha sempre bisogno di nuova manodopera.”

Nessuno si mosse. Ceres non sapeva se essere fiera o gridare loro di accettare l’offerta. Dopotutto sapevano di certo qual era la loro sorte.

“No?” disse Lucio, e c’era un pizzico di sorpresa nel suo tono di voce. Forse, pensò Ceres, si era genuinamente aspettato che tutti volessero darsi intenzionalmente alla schiavitù per salvarsi la vita. Forse non capiva sul serio cosa fosse la ribellione, o che c’erano cose peggiori della morte. “Nessuno?”

Ceres vide la finzione di calmo controllo scivolare via da lui come una maschera, rivelando ciГІ che era celato sotto.

“Questo è quello che succede quando degli scemi come voi iniziano ad ascoltare la feccia che vuole portarvi sulla strada sbagliata!” disse Lucio. “Dimenticate quale sia il vostro posto! Dimenticate che ci sono conseguenze per qualsiasi cosa facciate voi paesani! Bene, intendo ricordarvi che ci sono delle conseguenze. Morirete tutti, dal primo all’ultimo, e lo farete in modi di cui la gente bisbiglierà ogni volta che gli verrà in mente di tradire i loro superiori. E per esserne certo, porterò qui le vostre famiglie a guardare. Intendo farli scappare dalle loro penose case dandogli fuoco e farò in modo che stiano ben attenti mentre gridate!”

L’avrebbe fatto, Ceres non ne aveva alcun dubbio. Lo vide indicare uno dei soldati, poi uno dei congegni che si trovavano lì.

“Iniziate con questo. Cominciate da uno qualsiasi di loro. Non me ne frega niente. Assicuratevi solo che tutti soffrano prima di morire.” Puntò un dito verso la cella di Ceres. “E assicuratevi che lei sia l’ultima. Fatele guardare tutti loro morire uno alla volta. Voglio che ne impazzisca. Voglio che capisca quanto impotente è realmente, non importa quanto sangue degli Antichi si vanti di avere nelle vene davanti ai suoi uomini.”

Ceres allora si ritrasse dalle sbarre, ma dovevano esserci stati degli uomini dietro alla porta laterale, perché le catene ai polsi e alle caviglie si fecero tese e la trascinarono alla parete bloccandola così che non le era possibile muoversi di più di un centimetro o due in ogni direzione. Quel che era certo era che non poteva distogliere lo sguardo dalla finestra, attraverso la quale poté vedere uno dei boia che controllava la lama dell’ascia.

“No,” disse, cercando di darsi una sicurezza che in quel momento sentiva di non avere. “No, non permetterò che accada. Troverò un modo di impedirlo.”

Non si limitò allora a cercare dentro di sé il suo potere. Si tuffò nello spazio dove normalmente avrebbe trovato ad attenderla l’energia. Cercò di andare oltre lo stato mentale che aveva appreso dal Popolo della Foresta. Andò a caccia del potere che aveva acquisito con una sicurezza tale da sembrare che stesse inseguendo un qualche animale nascosto.

Ma quello restava sempre celato. Ceres le provò tutte. Cercò di calmarsi. Cercò di ricordare le sensazioni che c’erano state altre volte in cui aveva usato il suo potere. Si sforzò di farlo scorrere in lei con uno sforzo di volontà. Nella disperazione cercò anche di implorarlo, tentando di persuaderlo come se fosse un essere a se stante piuttosto che un frammento di lei stessa.

Nessuno di quei tentativi ebbe effetto e Ceres si gettò contro le catene che la trattenevano. Le sentì morderle i polsi e le caviglie mentre si spingeva in avanti, ma non poté riuscire a guadagnare più della lunghezza di un braccio.

Ceres sarebbe dovuta essere capace di spezzare con facilità l’acciaio. Sarebbe dovuta riuscire a liberarsi e a salvare tutti gli altri. Avrebbe dovuto, ma in quel momento non ci riusciva, e la parte peggiore era che neanche sapeva il perché. Perché i poteri che aveva già usato così tanto l’avevano improvvisamente abbandonata? Perché si era arrivati a questo punto?

Perché non poteva far fare alla sua energia quello che voleva? Ceres sentì le lacrime salirle agli occhi mentre lottava disperatamente per essere in grado di fare qualcosa. Per essere in grado di aiutare.

Fuori ebbero inizio le esecuzioni e Ceres non poteva fare nulla per fermarle.

Peggio ancora, sapeva che quando Lucio avesse finito lГ  fuori, sarebbe stato il suo turno.




CAPITOLO QUATTRO


Sartes si svegliò, pronto a combattere. Cercò di alzarsi in piedi, umiliato vedendo che non poteva farlo, e si trovò spinto indietro dallo stivale di una figura dall’aspetto rude che si trovava davanti a lui.

“Pensi ci sia posto perché tu te ne vada in giro qui?” chiese con voce severa.

L’uomo aveva la testa rasata ed era pieno di tatuaggi, gli mancava un dito come conseguenza di una qualche rissa o chissà che altro. C’era stato un tempo in cui Sartes avrebbe forse provato un brivido di paura nel vedere un uomo come quello. Questo accadeva prima dell’esercito, però, e prima della ribellione. Accadeva prima che lui arrivasse a vedere cosa significasse la vera malvagità.

C’erano altri uomini lì, ammassati in un luogo dai muri di legno, con la luce che entrava solo da poche fessure. Fu sufficiente perché Sartes li vedesse vicino a sé, e ciò che vide fu ben lungi dall’essere incoraggiante. L’uomo di fronte a loro era probabilmente uno di quelli dall’aspetto meno rude lì presenti, e il numero totale portò Sartes a provare veramente paura, e non solo per ciò che potevano fargli. Cosa poteva esserci in serbo per lui se era rinchiuso là dentro con uomini come quelli?

Percepì del movimento e si arrischiò a voltare la schiena alla folla di malviventi in modo da poter guardare attraverso una delle crepe nelle pareti di legno. All’esterno vide scorrere un paesaggio polveroso e roccioso. Non riconobbe la zona, ma quanto distante poteva essere da Delo?

“Un carro,” disse. “Siamo in un carro.”

“Ascolta il ragazzo,” disse l’uomo dalla testa rasata. Imitò in maniera approssimativa la voce di Sartes, non certo per farsi scambiare per lui. “Siamo in un carro. Questo ragazzo è un genio a tutti gli effetti. Bene, genio, che ne dici di tenere chiuso il becco adesso? Già stiamo andando alle fosse del catrame. Ci manca solo che continui a parlare.”

“Le fosse del catrame?” disse Sartes, e vide un lampo di rabbia attraversare il volto dell’altro uomo.

“Pensavo di averti detto di fare silenzio,” disse il malvivente con tono secco. “Magari se ti spingo in gola un paio di denti che hai davanti, te lo ricordi meglio.”

Un altro uomo si stiracchiò. Lo spazio angusto sembrava a malapena sufficiente per contenerlo. “Gli unici che sento parlare siete voi. Che ne dite di stare zitti tutti e due?”

La rapidità con cui l’uomo dalla testa rasata lo ubbidì disse molto a Sartes sulla pericolosità di quel secondo uomo. Sartes dubitava che fosse un momento in cui qualcuno avrebbe potuto farsi degli amici, ma sapeva dall’esercito che uomini come quello non avevano amici: avevano parassiti e vittime.

Era difficile fare silenzio ora che sapeva dove stavano andando. Le fosse del catrame erano una delle punizioni peggiori che l’Impero avesse, così pericolose e spiacevoli che coloro che vi venivano spediti erano fortunati se sopravvivevano un anno. Erano posti caldissimi e letali, dove si potevano vedere ossa di draghi morti che sporgevano dal terreno, e le guardie non ci pensavano due volte prima di gettare un prigioniero malato o claudicante nel catrame.

Sartes cercò di ricordare come aveva fatto a finire lì. Era uscito ad eseguire una missione per la ribellione, cercando di trovare un cancello che potesse permettere a Ceres di entrare nella città con gli uomini di Lord West. L’aveva trovato. Sartes poteva ricordare la gioia che aveva provato in quel momento, perché era davvero la soluzione perfetta. Era subito corso indietro per cercare di dirlo agli altri.

Era vicinissimo quando la figura incappucciata lo aveva afferrato; tanto vicino che si era sentito quasi sul punto di potersi allungare e toccare l’ingresso del nascondiglio dei ribelli. Si era sentito come quasi al sicuro, e gli avevano strappato tutto.

“Stefania manda i suoi saluti.”

Quelle parole riecheggiavano nella memoria di Sartes. Erano state le ultime parole che aveva sentito prima che lo colpissero facendogli perdere conoscenza. Gli avevano detto allo stesso tempo chi stava facendo questo e che lui aveva fallito. Lo avevano fatto arrivare così vicino, e poi gli avevano portato via tutto.

Avevano lasciato Ceres e gli altri senza le informazioni che Sartes era stato capace di trovare. Si trovava ora a preoccuparsi di sua sorella, di suo padre, di Anka e della ribellione, senza sapere cosa fosse successo loro, privi del cancello che lui era stato in grado di trovare per loro. Sarebbero stati capaci di entrare nella cittГ  senza il suo aiuto?

Erano stati capaci di farlo, si corresse Sartes, perché a quel punto in un modo o nell’altro dovevano averlo fatto. Dovevano aver trovato un altro cancello, o un modo alternativo per accedere alla città, o no? Dovevano averlo fatto, perché qual era l’alternativa?

Sartes non voleva pensarci, ma era impossibile farne a meno. L’alternativa era che avessero potuto fallire. Nella migliore delle ipotesi potevano essersi accorti che non c’era modo di entrare senza prendere un cancello, e magari si erano trovati intrappolati lì mentre l’esercito avanzava. Al peggio… al peggio potevano essere già morti.

Sartes scosse la testa. Non poteva crederci. Ceres avrebbe di certo trovato un modo per superare tutto questo e vincere. Anka era piГ№ piena di risorse di chiunque altro lui avesse mai conosciuto. Suo padre era forte e solido, mentre gli altri ribelli avevano la determinazione che veniva loro dal sapere che la loro causa era giusta. Avrebbero trovato un modo per prevalere.

Sartes doveva pensare che ciГІ che gli stava accadendo era di certo temporaneo. I ribelli avrebbero vinto, il che significava che avrebbero catturato Stefania e lei avrebbe raccontato loro ciГІ che aveva fatto. Sarebbero venuti a cercarlo, proprio come avevano fatto suo padre e Anka quando si era trovato bloccato nel campo militare.

Ma in che razza di posto sarebbero dovuti venire. Sartes guardò fuori mentre il carro avanzava sussultando attraversando il paesaggio, e vide la piattezza dei dintorni che lasciava spazio a fosse e cumuli rocciosi, stagni ribollenti di nero e calore. Anche da dove si trovava poteva sentire l’odore acre e amaro del catrame.

C’erano delle persone che lavoravano in file. Sartes vide le catene che li tenevano legati tra loro a coppie mentre dragavano il catrame con dei secchi e lo raccoglievano in modo che altri potessero usarlo. Poteva vedere le guardie che stavano loro addosso con delle fruste, e proprio mentre guardava un uomo cadde per i colpi che riceveva. Le guardie lo liberarono dalle catene e lo spinsero a calci nella fossa di catrame più vicina. Il catrame ci mise molto a ingoiare le sue grida.

Sartes allora avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma non poteva. Non poteva levare gli occhi dall’orrore di tutto questo. Dalle gabbie a cielo aperto che erano ovviamente le dimore dei prigionieri. Dalle guardie che li minacciavano come non fossero niente più che animali.

Guardò fino a che il carro non si fermò e i soldati lo aprirono con le armi in una mano e le catene nell’altra.

“Prigionieri fuori,” gridò uno di essi. “Fuori o daremo fuoco al carro con voi dentro, schifosi!”

Sartes strisciГІ fuori alla luce insieme agli altri e potГ© osservare il pieno orrore della situazione. I fumi di quel posto erano quasi travolgenti. Le fosse di catrame attorno a loro ribollivano in strane e imprevedibili combinazioni. Addirittura mentre lui guardava, un pezzo di terreno vicino a una delle fosse cedette cadendo nel catrame.

“Queste sono le fosse del catrame,” annunciò il soldato che aveva parlato. “Non preoccupatevi di abituarvici. Sarete morti ben prima che ciò accada.”

La parte peggiore, sospettГІSartes mentre gli fissavano un anello alla caviglia, era che poteva anche darsi che avessero ragione.




CAPITOLO CINQUE


Tano fece scivolare la sua piccola imbarcazione fino alla secca della spiaggia distogliendo lo sguardo dagli anelli disposti sotto la linea della marea. Si fece strada sulla spiaggia, sentendosi esposto a ogni passi in mezzo a quel posto di roccia grigia. Sarebbe stato fin troppo facile essere avvistato lì, e Tano non voleva assolutamente essere visto in un posto come quello.

Si arrampicò lungo un sentiero e si fermò sentendo la rabbia che si univa al disgusto mentre scorgeva cosa c’era da entrambe le parti della via. C’erano dei congegni – forche e lance, caterine e patiboli – tutti ovviamente intesi per procurare una morte spiacevole a chi vi fosse introdotto. Tano aveva sentito parlare dell’Isola dei Prigionieri, ma ad ogni modo la malvagità di quel posto gli faceva venire voglia di spazzarlo via.

Continuò lungo il sentiero, pensando a come potesse essere la vita per chiunque venisse portato lì, circondato da pareti rocciose e con la consapevolezza che solo la morte lo aspettava. Ceres era veramente finita in quel posto? Solo il pensiero era sufficiente a fargli sentire una fitta allo stomaco.

Davanti a sé Tano sentì delle grida, colpi di frusta e urla che risuonavano tanto animali quanto umane. C’era qualcosa in quel suono che lo fece restare immobile: il suo corpo gli diceva di prepararsi alla violenza. Si affrettò a risalire il sentiero, sollevando la testa al di sopra del livello delle rocce che gli bloccavano la vista.

Ciò che vide oltre lo lasciò a bocca aperta. C’era un uomo che correva, i piedi scalzi che lasciavano delle orme insanguinate sul terreno roccioso. Indossava abiti laceri e strappati, una manica che penzolava dalla spalla, uno strappo sulla schiena che lasciava vedere una ferita al di sotto. Aveva capelli selvaggi e una barba ancora più selvaggia. Solo il fatto che i suoi abiti erano di seta lasciava intuire che non avesse vissuto a quel modo per tutta la sua esistenza.

L’uomo che lo inseguiva sembrava, se possibile, ancora più selvaggio, e c’era qualcosa in lui che fece sentire Tano come la preda di un qualche grosso animale, intenta a guardare il suo predatore. Indossava un misto di indumenti di pelle che sembravano essere stati rubati da una decina di posti diversi, e aveva il volto striato di fango in un modo che Tano sospettava fosse appositamente congegnato per farlo mimetizzare con la vegetazione della foresta. Aveva in mano una mazza e un pugnale corto, e i versi che emetteva mentre seguiva l’altro uomo fecero venire a Tano i brividi.

Per istinto Tano avanzò. Non poteva starsene lì a guardare qualcuno che veniva assassinato, neanche lì dove tutti avevano commesso un qualche crimine per esservi finiti. Salì sul promontorio e poi scattò in basso verso un punto dove i due sarebbero passati. Il primo uomo lo scansò. Il secondo si fermò con un sorriso fatto di denti affilati.

“Pare ce ne sia un altro a cui dare la caccia,” disse, e si lanciò su Tano.

Tano reagì con la rapidità del lungo allenamento, levandosi dalla traiettoria del primo colpo di coltello. La mazza lo prese alla spalla, ma lui ignorò il dolore. Fece ruotare di netto il pugno e sentì l’impatto quando andò a colpire la mandibola dell’avversario. L’uomo cadde privo di conoscenza e colpì il terreno.

Tano si guardò attorno e vide l’altro uomo che lo fissava.

“Non ti preoccupare,” gli disse. “Non ti farò del male. Sono Tano.”

“Herek,” disse l’altro uomo. A Tano la sua voce sembrò roca, come se non avesse parlato con nessuno per lungo tempo. “Io…”

Un altro grido venne da dietro, verso la sezione boscosa dell’isola. Sembravano molte voci unite in qualcosa che anche a Tano apparve terrificante.

“Veloce, da questa parte.”

L’altro uomo afferrò il braccio di Tano e lo tirò verso una serie di rocce più alte. Tano lo seguì, abbassandosi in uno spazio che non si poteva vedere dal sentiero principale, ma da dove potevano pur sempre scorgere segnali di pericolo. Tano poteva sentire la paura dell’altro uomo mentre stavano lì accucciati, e cercò di restare il più fermo possibile.

Avrebbe voluto aver pensato di prendere il pugnale dall’uomo che aveva messo al tappeto, ma ora era troppo tardi per farlo. Poteva invece solo stare lì mentre aspettavano che gli altri cacciatori scendessero al posto dove si trovavano prima.

Li vide avvicinarsi in gruppo, e non ce n’erano due di simili. Avevano tutti delle armi che ovviamente erano stato fabbricate da ciò che si erano trovati a portata di mano, mentre quelli che ancora avevano indosso i minimi rimasugli di abbigliamento portavano uno strano miscuglio di oggetti ovviamente rubati. C’erano sia uomini che donne, con aspetti affamati e pericolosi, mezzi morti di fame e malvagi.

Tano vide che una delle donne toccava con il piede l’uomo privo di conoscenza. Allora provò un brivido di paura, perché se quell’uomo si svegliava avrebbe potuto raccontare agli altri ciò che era successo, e loro si sarebbero messi alla ricerca.

Ma non si svegliГІ, perchГ© la donna si inginocchiГІ e gli tagliГІ la gola.

Tano si irrigidì. Accanto a lui Herek gli mise una mano sul braccio.

“Gli Abbandonati non hanno tempo per nessun genere di debolezza,” sussurrò. “Vanno a caccia di chiunque possano, perché quelli alla fortezza non danno loro nulla.”

“Sono prigionieri?” chiese Tano.

“Siamo tutti prigionieri qui,” rispose Herek. “Anche le guardie sono solo prigionieri saliti ad alti livelli e che godono abbastanza della crudeltà da fare il lavoro dell’Impero. Eccetto che tu non sei un prigioniero, vero? Non hai l’aspetto di uno che è passato per la fortezza.”

“No,” ammise Tano. “Questo posto… sono prigionieri che lo fanno ad altri prigionieri?”

La parte peggiore era che poteva immaginarselo. Era il genere di cose che il re, suo padre, poteva pensare. Collocare i prigionieri in una sorta di inferno e poi dare loro la possibilitГ  di evitare ulteriore dolore solo se se ne occupavano.

“Gli Abbandonati sono il peggio,” disse Herek. “Se i prigionieri non si sottomettono, se sono troppo folli o cocciuti, se non lavorano o se si ribellano troppo, vengono gettati qui nel mezzo del nulla. I guardiani della prigione danno loro la caccia. La maggior parte di loro implorano per essere riportati indietro.”

Tano non voleva pensarci, ma doveva, perché Ceres poteva trovarsi lì. Tenne gli occhi fissi sul gruppo di feroci prigionieri mentre continuava a sussurrare con Herek.

“Sto cercando una persona,” disse. “Potrebbero averla portata qui. Si chiama Ceres. Ha combattuto nell’arena.”

“La principessa combattente,” rispose in un sussurro Herek. “L’ho vista combattere nell’arena. Ma no, l’avrei saputo se l’avessero portata qui. Amano far sfilare i nuovi arrivati davanti a noi, in modo che possano vedere cosa li aspetta. Mi ricorderei di lei.”

Il cuore di Tano precipitò come una pietra gettata in una pozza. Era stato così certo che Ceres fosse lì. Aveva messo tutto ciò che aveva potuto nell’arrivare fino a lì, solo perché era l’unico indizio riguardo alla sua attuale collocazione. Se non era lì… dove poteva andare?

La speranza che aveva provato iniziГІ a gocciolare via, proprio come il sangue ai piedi di Herek, dove le rocce lo avevano ferito.

Il sangue che gli Abbandonati stavano fissando in quello stesso istante, seguendone le tracce…

“Corri!” gridò Tano, travolto dall’urgenza che prevalse sul suo crepacuore mentre trascinava Herek con sé.

Si trascinò sul terreno roccioso, diretto verso la fortezza semplicemente perché immaginava che fosse l’unica direzione in cui i loro inseguitori non avrebbero gradito andare. Ma lo seguirono comunque, e Tano dovette tirarsi dietro Herek per continuare a farlo correre.

Una lancia sfrecciò accanto alla sua testa e Tano rabbrividì, ma non si fermò. Osò darsi un’occhiata alle spalle e le forme chine dei prigionieri si stavano avvicinando, dando loro la caccia proprio come un branco di lupi. Tano sapeva di doversi voltare e combattere, ma non aveva armi. Al meglio poteva afferrare un sasso.

Figure con pantaloni di pelle scuri e camice di maglia di ferro si alzarono dalle rocce davanti a loro tendendo degli archi. Tano reagì d’istinto e trascinò se stesso ed Herek a terra.

Le frecce volarono sopra le loro teste e Tano vide un gruppo di feroci prigionieri che cadevano come granturco tagliato. Una donna si girò per scappare, ma una freccia la colpì alla schiena.

Tano si alzò mentre tre uomini avanzavano verso di loro. Quello che stava a capo del gruppetto aveva i capelli argentati e il volto spigoloso. Si mise l’arco in spalla mentre si avvicinava e sguainò un coltello lungo.

“Sei il principe Tano?” chiese quando fu vicino.

In quel momento Tano capì di essere stato tradito. Il capitano contrabbandiere aveva rivelato la sua presenza, per denaro o semplicemente perché non voleva passare guai.

Si sforzò di stare eretto in piedi. “Sì, sono Tano,” disse. “E tu sei?”

“Elsio, guardiano di questo posto. Una volta mi chiamavano Elsio il macellaio. Elsio l’assassino. Ora quelli che ammazzo si meritano il loro destino.”

Tano aveva udito quel nome. Era un nome che i bambini con cui era cresciuto usavano per spaventarsi tra loro, il nome di un nobiluomo che aveva ucciso e ucciso fino a che addirittura l’Impero aveva pensato che fosse troppo malvagio per permettergli di restare in libertà. Avevano inventato storie delle cose che aveva fatto a coloro che catturava. Almeno Tano sperava che fossero inventate.

“Hai intenzione di tentare di uccidermi adesso?”

Tano cercГІ di suonare minaccioso, anche se non aveva armi.

“Oh no, mio principe. Abbiamo programmi molto migliori per te. Però il tuo compagno…”

Tano vide che Herek tentava di alzarsi, ma non fu abbastanza rapido. Il capo si fece avanti e lo trafisse con rapida efficienza. La lama entrò e uscì più volte dal corpo dell’uomo. Tenne Herek in piedi, come a voler impedirgli di morire prima che fosse pronto.

Alla fine lasciГІ crollare il cadavere del prigioniero. Quando si girГІ verso Tano, il suo volto era una maschera sfigurata che non aveva quasi nulla di umano.

“Come ci si sente, principe Tano,” gli chiese, “a diventare prigionieri?”




CAPITOLO SEI


Lucio era arrivato ad amare l’odore delle case che bruciavano. C’era qualcosa di rinvigorente in esso, qualcosa che faceva salire l’eccitazione in lui alla prospettiva di tutto ciò che ne sarebbe conseguito.

“Aspettateli,” disse dalla sua postazione in sella a un massiccio destriero.

Attorno a lui i suoi uomini erano sparpagliati per circondare le case cui stavano dando fuoco. Erano a malapena delle case a dire il vero: semplici dimore di contadini, così malandate che non valeva neppure la pena di saccheggiarle. Magari avrebbero rovistato tra la cenere più tardi.

Per adesso però c’era da divertirsi.

Lucio vide un barlume di movimento mentre le prime persone fuggivano gridando dalle loro case. Indicò con una mano inguantata e la luce del sole riverberò sull’oro della sua armatura.

“Lì!”

SpronГІ il suo cavallo al galoppo, sollevando una lancia e gettandola contro una delle figure in corsa. Accanto a lui i suoi uomini si misero a rincorrere uomini e donne, colpendo e uccidendo e lasciandoli solo occasionalmente in vita quando appariva ovvio che sarebbero valsi di piГ№ nel mercato degli schiavi.

C’era dell’arte, Lucio aveva scoperto, nel bruciare un villaggio. Era importante non correre semplicemente alla cieca e dare fuoco a ogni cosa. Quella era cosa da amatoriali. Gettarsi a capofitto senza preparazione e lasciar scappare la gente. Se si bruciavano le cose nell’ordine sbagliato c’era il rischio che venissero tralasciate cose di valore. Se si lasciavano troppe vie di fuga, le file di schiavi sarebbero state più corte di quanto avrebbero dovuto.

La chiave era la preparazione. Aveva fatto disporre i suoi uomini in un cordone fuori dal villaggio ben prima di entrarvi con indosso la sua armatura così visibile. Alcuni dei contadini erano fuggiti solo a quella vista, e Lucio ne aveva goduto. Era bello essere temuti. Era giusto che fosse così.

Ora erano al livello successivo, quello in cui bruciavano alcune delle case di minor valore. Dalla cima, ovviamente, gettando le torce sul tetto. La gente non poteva scappare se si dava fuoco ai loro nascondigli dal pianoterra, e se non scappavano non c’era divertimento.

Più tardi ci sarebbero stati i più tradizionali saccheggi, seguiti da torture per coloro che erano sospettati di avere simpatie per i ribelli, o che potevano semplicemente tenere nascoste delle cose di valore. E poi le esecuzioni ovviamente. Lucio sorrise a quel pensiero. Di solito faceva solo degli esempi. Oggi però sarebbe stato più… esauriente.

Si trovò a pensare a Stefania mentre attraversava il villaggio, sfoderando la spada per colpire a destra e a sinistra. Normalmente non avrebbe reagito bene a qualcuno che lo rifiutava nel modo che aveva fatto lei. Se qualcuna delle giovani donne di quel villaggio avesse osato, Lucio l’avrebbe probabilmente fatta scuoiare viva, piuttosto che semplicemente mandarla alle fosse degli schiavi.

Ma Stefania era diversa. Non solo perchГ© era bellissima ed elegante. Quando pensava che fosse semplicemente questo, non aveva avuto altra idea che metterla ai propri piedi come un qualche meraviglioso animale domestico.

Ora che si era rivelata essere ben più di questo, Lucio si trovava a sentire che i suoi sentimenti cambiavano, diventando qualcosa di più. Non era semplicemente l’ornamento perfetto per un futuro re: era una persona che capiva come funzionava il mondo, e che era pronta a tramare per ottenere ciò che voleva.

Questo aveva giocato una grossa parte nel motivo per cui Lucio aveva deciso di lasciarla andare: si stava godendo troppo il gioco fra loro due. L’aveva messa alle strette e lei era stata d’accordo nell’affondarlo insieme a sé. Si chiedeva quale sarebbe stata la sua prossima mossa.

Venne distolto dai suoi pensieri quando vide due dei suoi uomini che tenevano a tiro di spada una famiglia: un uomo grasso, una donna anziana e tre bambini.

“Perché stanno ancora respirando?” chiese Lucio.

“Vostra altezza,” implorò l’uomo, “vi prego. La mia famiglia è sempre stata estremamente leale a vostro padre. Non abbiamo niente a che fare con la ribellione.”

“Quindi mi stai dicendo che mi sto sbagliando?” chiese Lucio.

“Siamo leali, vostra altezza. Vi prego.”

Lucio piegò la testa di lato. “Molto bene, vista la tua lealtà, sarò generoso. Permetterò a uno dei tuoi figli di vivere. Ti lascerò anche scegliere quale. In effetti, te lo ordino.”

“M-ma… non possiamo scegliere tra i nostri figli,” disse l’uomo.

Lucio si voltò verso i suoi uomini. “Vedete? Anche quando do loro degli ordini, non obbediscono. Uccideteli tutti, e non sprecate altro tempo con gente del genere. Tutti quelli che abitano questo villaggio devono essere uccisi o fatti schiavi. Non fatemelo ripetere.”

GaloppГІ via, verso altri edifici che stavano bruciando, mentre le grida si levavano dietro di lui. Si stava veramente rivelando una meravigliosa mattinata.




CAPITOLO SETTE


“Lavorate più velocemente, pigri mocciosi!” gridò la guardia, e Sartes si irrigidì sentendo il bruciore della frustata sulla schiena. Se avesse potuto, si sarebbe girato per rispondere alla guardia, ma senza un’arma era come un suicidio.

Invece di un’arma aveva un secchio. Incatenato a un altro prigioniero, aveva il compito di raccogliere il catrame e versarlo in grosse carriole che servivano per portarlo via dalle fosse, dove sarebbe servito per calafatare barche e sigillare tetti, livellare i ciottoli più lisci e impermeabilizzare le pareti. Era un lavoro duro, e doverlo fare incatenato a un’altra persona lo rendeva ancora più arduo.

Il ragazzo a cui era legato non era più grande di Sartes, sembrava anzi molto più magro. Sartes non sapeva ancora come si chiamasse, perché le guardie punivano chiunque parlasse troppo. Probabilmente pensavano che complottassero una rivolta, pensò Sartes. Guardando alcuni degli uomini che stavano lì attorno, forse avevano pure ragione a temerlo.

Le fosse del catrame erano un posto dove venivano spedite alcuni dei peggiori individui di Delo, e si vedeva. C’erano risse per il cibo, o semplicemente per dimostrare chi fosse più duro, anche se nessuna di loro durava molto. Quando c’erano delle guardie a controllare, gli uomini tenevano la testa bassa. Quelli che non lo facevano venivano rapidamente picchiati o gettati nel catrame.

Il ragazzo incatenato a Sartes non sembrava essere in sintonia con la maggior parte del resto dei presenti. Era magro come uno stecchino e allampanato. Pareva potesse rompersi da un momento all’altro per lo sforzo di sollevare il catrame dalle fosse. La sua pelle era sporca e ricoperta di bruciature dove era venuta a contatto con il catrame.

Una soffio di gas uscì dalla fossa. Sartes riuscì a trattenere il fiato, ma il suo compagno non fu altrettanto fortunato. Iniziò a piegarsi e a tossire, e Sartes sentì la catena tendersi mentre il giovane inciampava e iniziava a cadere.

Sartes non ebbe bisogno di pensare. Lasciò cadere il secchio e si lanciò in avanti, sperando di essere abbastanza rapido. Sentì le dita chiudersi attorno al braccio del ragazzo, così magro da poterne fare il giro completo come un secondo anello di catena.

Il ragazzo barcollò verso il catrame e Sartes lo trattenne dal finirvi dentro. Avvertì il calore che proveniva dalla fossa e quasi si tirò indietro quando sentì la pelle bruciare. Ma tenne salda la presa sul braccio del ragazzo e non lo lasciò andare fino a che non fu riuscito a tirarlo in salvo sul terreno solido.

Il ragazzo tossì e sputacchiò, e sembrava voler parlare.

“Va tutto bene,” lo rassicurò Sartes. “Stai bene. Non cercare di parlare.”

“Grazie,” disse. “Aiuta… mi… a mettermi… in piedi. Le guardie…”

“Che succede qui?” tuonò una guardia, sottolineando la domanda con un colpo di frusta che fece gridare Sartes. “Perché state bighellonando qui?”

“Sono stati i fumi, signore,” disse Sartes. “Lo hanno travolto per un momento.”

Questo gli guadagnò un altro colpo. Sartes avrebbe voluto tanto avere un’arma con sé. Qualcosa da poter usare per controbattere, ma non c’era nient’altro che il suo secchio, e c’erano troppe guardie per farlo bastare. Probabilmente Ceres avrebbe trovato un modo di sconfiggerli tutti con solo quell’oggetto, e quel pensiero lo fece sorridere.

“Quando voglio che parli, te lo dico io,” disse il soldato. Diede un calcio al ragazzo che Sartes aveva salvato. “In piedi tu. Se non puoi lavorare non servi a niente. Se non servi a niente puoi finire nel catrame come tutto il resto.”

“Può stare in piedi,” disse Sartes, e rapidamente aiutò il ragazzo ad alzarsi. “Guardi, sta bene. Sono stati solo i fumi.”

Questa volta non si curò del soldato che lo colpiva, perché almeno significava che non stava colpendo l’altro ragazzo.

“Tornate al lavoro allora, tutti e due. Avete già sprecato troppo tempo.”

Si rimisero a raccogliere il catrame, e Sartes fece del suo meglio per raccoglierne quanto poteva, perché l’altro ragazzo non era ancora chiaramente abbastanza forte per fare molto.

“Mi chiamo Sartes,” gli sussurrò, tenendo d’occhio le guardie.

“Byrant,” rispose in un bisbiglio il ragazzo, anche se sembrava nervoso mentre lo faceva. Sartes lo sentì tossire di nuovo. “Grazie, mi hai salvato la vita. Se potrò mai sdebitarmi, lo faro.”

Fece silenzio mentre le guardie passavano ancora lì vicino.

“I fumi sono nocivi,” disse Sartes, più che per mantenere la conversazione che altro.

“Ci divorano i polmoni,” rispose Bryant. “Anche alcune delle guardie muoiono.”

Lo disse come se fosse normale, ma Sartes non poteva vederci nulla di normale.

Guardò il ragazzo. “Non hai tanto l’aspetto di un criminale.”

Vide un’espressione di dolore velargli il volto. “La mia famiglia… il principe Lucio è venuto alla nostra fattoria e l’ha bruciata. Ha ucciso i miei genitori. Ha portato via mia sorella. Mi ha mandato qui senza un motivo.”

Era una storia fin troppo familiare per Sartes. Lucio era malvagio. Usava qualsiasi scusa per causare miseria. Faceva a brandelli le famiglie solo perchГ© poteva.

“E allora perché non cercare giustizia?” suggerì Sartes. Continuò a scavare catrame dalla fosse, assicurandosi che nessuna guardia venisse vicino.

Il ragazzo lo guardò come se fosse matto. “E come potrei farlo? Sono una persona sola.”

“La ribellione è ben più di una persona,” rimarcò Sartes.

“Come se a loro interessasse quello che succede a me,” ribatté Bryant. “Non sanno neanche che siamo qui.”

“Allora dovremo andare noi da loro,” sussurrò Sartes.

Sartes vide i tratti del ragazzo segnati dal panico.

“Non puoi. Se solo si parla di fuga, le guardie ti appendono sopra al catrame e ti ci calano un po’ alla volta. L’ho visto. Ci uccideranno.”

“E cosa succederà se restiamo qui?” chiese Sartes. “Se oggi fossi stato incatenato a uno degli altri, cosa sarebbe successo?”

Bryant scosse la testa. “Ma ci sono le fosse del catrame, e le guardie, e sono sicuro che ci siano anche delle trappole. E poi gli altri prigionieri non ci aiuterebbero mai.”

“Ma adesso ci stai pensando, giusto?” chiese Sartes. “Sì, ci saranno dei rischi, ma un rischio è molto meglio che morire di sicuro.”

“E come mai potremmo farlo?” chiese Bryant. “Ci tengono nelle gabbie di notte, e siamo incatenati tutto il giorno.”

Per quello almeno Sartes una risposta ce l’aveva. “Allora scapperemo insieme. Troveremo il momento giusto. Fidati di me, so come cavarmi dalla brute situazioni.”

Non disse che quello sarebbe stato peggio di tutto ciò che aveva già passato in passato, né fece sapere al suo nuovo amico quanto scarse fossero le probabilità. Non c’era bisogno di spaventare Bryant più di quanto già fosse, ma dovevano andarsene.

Se fossero rimasti di piГ№, lo sapeva, nessuno di loro due sarebbe sopravvissuto.




CAPITOLO OTTO


Tano si sentiva teso come un animale che sta per spiccare un salto mentre camminava in mezzo ai tre prigionieri, tutti diretti verso la fortezza che dominava l’isola. A ogni passo si trovava a cercare una via di fuga, ma con il terreno aperto e gli archi che avevano i suoi aguzzini, non ce n’erano.

“Potrebbe anche sembrare ragionevole,” disse Elsio dietro di lui, “Non posso dire che il tuo destino sarebbe migliore venendo con noi, ma di certo durerai di più. Non c’è nessun posto dove fuggire sull’isola, eccetto che per gli Abbandonati, e io ti darei la caccia.”

“Forse allora dovrei farlo e accelerare le cose,” disse Tano, cercando di mascherare la sua sorpresa riguardo alla facilità con cui quell’uomo aveva letto le sue intenzioni. “Una freccia nella schiena non dev’essere poi così male.”

“Non peggio di una spada che ti infilza,” disse Elsio. “Oh sì, ne abbiamo sentito parlare anche qui. Le guardie ci portano notizie quando ci lanciano qui nuova gente da punire. Ma credimi, se ti do la caccia io, non ci sarà niente di rapido. E ora continua a camminare, prigioniero.”

Tano ubbidì, ma sapeva di non poter percorrere tutto il tragitto fino alla parte dell’isola in cui si trovava la fortezza. Se l’avesse fatto, non avrebbe mai più rivisto la luce del giorno. Il momento migliore per la fuga era sempre presto, quando ancora si avevano le forze. Quindi Tano continuò a guardarsi in giro, cercando di valutare il terreno e il suo momento.

“Non funzionerà,” disse Elsio. “Conosco gli uomini. So quello che intendono fare. È sorprendente quello che impari di loro mentre li fai fuori. Penso che in quel momento si veda la loro vera anima.”

“Sai cosa penso?” chiese Tano.

“Dimmelo. Sono sicuro che l’insulto porterà gioia alla mia giornata. E dolore alla tua.”

“Penso che tu sia un codardo,” disse Tano. “Ho sentito parlare dei tuoi crimini. Una manciata di omicidi di persone che non avevano la forza di controbattere. Un po’ di tempo trascorso a capo di una banda di criminali che combattevano in vece tua. Sei patetico.”

Tano sentì le risate alle sue spalle.

“Oh, è questo il meglio che sai fare?” disse Elsio. “Sono offeso. Cosa stai cercando di fare, attirarmi vicino a te in modo da potermi colpire? Pensi davvero che sia così stupido? Voi due, tenetelo fermo. Principe Tano, se ti muovi, metterò una freccia in un punto molto doloroso.”

Tano sentì le braccia delle due guardie avvolgersi attorno alle sue, tenendolo fermo al suo posto. Erano uomini forti, ovviamente abituati ad avere a che fare con prigionieri disobbedienti. Tano si sentì girare trovandosi faccia a faccia con Elsio, che stava tendendo l’arco perfettamente in posizione, pronto a tirare.

Proprio come Tano aveva sperato.

Tano si ribellò contro le guardie che lo tenevano fermo e sentì Elsio ridere.

“Non mi dire che non ti avevo avvisato.”

Sentì lo schiocco della corda dell’arco, ma lui non si stava sforzando di liberarsi nel modo in cui credevano. Invece si girò, trascinando una delle guardie nella traiettoria della freccia e sentendo l’impatto della punta contro il corpo dell’uomo. La freccia lo trafisse e finì per sporgergli dal petto.

Tano sentì la presa allentarsi mentre la guardia afferrava la freccia, quindi non esitò. Attaccò l’altra guardia, gli strappò il coltello dalla cintura e spinse l’uomo contro Elsio. Con i due ingarbugliati tra loro, riuscì ad afferrare l’arco della guardia morente scoccando quante più frecce poteva mentre scappava.

Tano zigzagГІ facendosi strada oltre delle rocce spezzate, correndo a tutta velocitГ  verso il nascondiglio piГ№ vicino. Probabilmente gli salvГІ la vita il fatto che non cercГІ di correre ancora verso la sua barca, dirigendosi invece in mezzo agli alberi.

“Non c’è niente da quella parte se non gli Abbandonati!” gli gridò dietro Elsio.

Tano si abbassò mentre una freccia gli passava fischiando vicino alla testa. La sentì abbastanza vicina da arruffargli i capelli. L’assassino che lo stava seguendo era decisamente troppo bravo nella mira.

Tano tirò in risposta, quasi senza guardare. Se si fosse fermato tanto da poter prendere la mira, non aveva alcun dubbio che si sarebbe presto trovato ucciso da una delle frecce che gli stavano volando accanto mentre correva. O peggio poteva finire semplicemente ferito in modo che Elsio potesse acciuffarlo e trascinarlo nella parte fortificata dell’isola.

Tano si tuffò dietro a una roccia e sentì una freccia che vi andava a sbattere contro. Tirò di nuovo, si rimise a correre, si fermò per un qualche istinto che gli fece aspettare che un’altra freccia lo sfiorasse.

Poi ripartì di corsa, sfrecciando verso gli alberi. Cercava di rendere la sua corsa imprevedibile, ma soprattutto si concentrava sulla velocità. Più rapidamente fosse riuscito a raggiungere la copertura degli alberi, meglio era. Scoccò un’altra freccia senza guardare, si fece di lato per istinto mentre un altro colpo lo mancava, poi si gettò dietro agli alberi più vicini mentre un’altra punta si conficcava in un tronco.

Tano si fermГІ un momento, in ascolto. Al di sopra del battito del suo cuore poteva sentire Elsio che dava ordini.

“Andate a chiamare altri guardiani,” ordinò. “Continuerò da solo la mia caccia al principe.”

Tano iniziГІ a strisciare tra gli alberi. Sapeva di dover coprire terreno ora, prima che arrivassero altre guardie armate. Se erano troppe, lo avrebbero circondato senza difficoltГ . Poi non sarebbe piГ№ stato in grado di scappare, per quanto combattesse bene.

Ma doveva pur sempre stare attento. Poteva sentire Elsio da qualche parte dietro di lui, nel fruscio di rami e nell’occasionale spezzarsi di ramoscelli. Quell’uomo aveva ancora il suo arco e aveva già dato prova di quanto bravo fosse ad usarlo.

“So che puoi sentirmi,” disse Elsio dietro di lui. Aveva un tono colloquiale, come se fosse la cosa più normale al mondo parlare a quel modo all’uomo che stava tentando di uccidere. “Sarai andato a caccia, ovviamente, essendo un principe.”

Tano non rispose.

“Oh, lo so,” disse Elsio. “Non vuoi svelare la tua posizione. Vuoi restare perfettamente nascosto, e speri di restare davanti a me. La gente che ero solito inseguire nel mondo faceva sempre così. Ma non ha funzionato neanche per loro.”

Una freccia sbucГІ tra gli alberi, mancando Tano per un pelo quando si abbassГІ. TirГІ in risposta, poi si mise a correre in mezzo agli alberi.

“Va meglio così,” rispose Elsio. “Assicurati che gli Abbandonati non ti prendano. Di me hanno paura. Ma tu… tu sei solo una preda.”

Tano lo ignorГІ e continuГІ a correre, svoltando e girando a caso fino a che fu certo di aver messo sufficiente distanza tra sГ© e il proprio inseguitore.

Si fermò a fare una pausa. Non sentiva più Elsio. Ma sentiva i rumori di qualcuno che imprecava, metà con rabbia e per metà piangendo. Si fece con attenzione strada in avanti, senza fidarsi del tutto. Senza fidarsi di nulla lì.

ArrivГІ al limitare di una piccola radura. In essa, con suo stupore, una donna penzolava a testa in giГ№, appesa per le caviglie, catturata in una trappola. Aveva i capelli scuri raccolti in una treccia che penzolava sotto di lei sfiorando il suolo. Indossava i grezzi calzoni e la classica tunica da marinaio, legata con una fascia. Stava imprecando proprio come un marinaio mentre cercava di slegarsi dalla fune che la teneva intrappolata, ma senza evidente successo.

Tutti gli istinti dicevano a Tano che si trattava di una qualche trappola. O era un piano progettato per rallentarlo, o ad ogni modo le grida di quella donna avrebbero presto attirato gli Abbandonati.

Però non poteva lasciarla lì a quel modo. Tano si fece avanti nella radura, sollevando il coltello che teneva in mano.

“Chi sei?” chiese la donna. “Stai alla larga, schifoso Abbandonato figlio di una capra! Se avessi la mia spada…”

“Potresti fare silenzio prima di attirare qui qualsiasi prigioniero,” disse Tano liberandola dalla trappola. “Mi chiamo Tano.”

“Felene,” rispose la donna. “Cosa ci fai qui, Tano?”

“Scappo da degli uomini che vogliono uccidermi e cerco di tornare alla mia barca,” disse Tano. Un’idea lo colpì all’improvviso, e iniziò a sistemare la trappola.

“Hai una barca?” disse Felene. Tano notò che si teneva a distanza. “Un modo di uscire da queste pietre dimenticate da dio? Pare che allora verrò con te.”

Tano scosse la testa. “Potresti non volermi stare vicino. Le persone che mi seguono saranno presto qui.”

“Non può essere tanto peggio di quello con cui ero occupata poco fa.”

Di nuovo Tano scosse la testa. “Mi spiace, ma non ti conosco. Potresti essere su quest’isola per qualsiasi ragione. Per quanto ne so, potresti pugnalarmi alla schiena non appena te ne darò l’occasione.”

La donna parve sul punto di poter discutere, ma un rumore dagli alberi le fece sollevare lo sguardo come un cervo sorpreso, quindi scattГІ nel fitto della foresta.

Tano seguì il suo esempio, scivolando di nuovo in mezzo agli alberi. Vide Elsio apparire nella radura con l’arco teso. Tano allungò la mano verso quello che aveva preso e si rese conto di non avere altre frecce. Senza migliori opzioni, uscì dal nascondiglio dietro all’albero.

“Pensavo fossi una preda migliore,” disse Elsio.

“Vieni più vicino e scoprirai subito quanto pericoloso so essere,” rispose Tano.

“Oh, non è così che funzionano le cose,” rispose Elsio, ma fece comunque un passo avanti.

Tano sentì lo schiocco della trappola e vide Elsio che veniva tirato verso l’alto. Le frecce caddero dalla sua faretra. Tano le raccolse e tornò in mezzo agli alberi. Sentiva già il rumore di altri che si avvicinavano: Abbandonati o guardiani, non aveva importanza.

Tano corse in mezzo agli alberi, capace finalmente di dirigersi verso la sua barca, adesso che non era più seguito. Gli parve di scorgere delle figure tra il fogliame e dietro di sé udì un grido che poteva solo essere di Elsio.

Uno degli Abbandonati sbucò di colpo dagli alberi vicino a Tano, lanciandosi in avanti. Tano avrebbe dovuto sapere che non poteva sperare di evitarli tutti. L’uomo fece roteare un’ascia che sembrava essere fatta con la gamba di un nemico morto. Tano si portò all’interno della traiettoria del colpo e lo pugnalò, spingendolo a terra e continuando poi a correre.

Ora poteva sentirne di più, grida di caccia che provenivano dagli alberi. Scattò in pieno terreno aperto e vide un gruppo di guardie di Elsio che si avvicinavano dalla parte opposta. Il cuore gli martellava nel petto mentre almeno una decina di altre figure vestite di armatura uscivano dagli alberi. Tano tagliò a destra, si abbassò sotto una figura che lo assaliva e continuò a correre mentre i due gruppi andavano a sbattere uno contro l’altro.

Altri continuarono a rincorrerlo, ma Tano ne vide altri fermarsi a lottare tra loro. Vide gli Abbandonati andare a sbattere contro le guardie in un’ondata distruttiva. Avevano dalla loro la ferocità, ma quelli che provenivano dalla fortezza indossavano una vera armatura e avevano armi migliori. Tano dubitava che avessero alcuna possibilità di vittoria, e non era certo di volere che ce la facessero.

Sfrecciò attorno alle rocce dell’isola cercando di trovare la via di ritorno alla barca. Se fosse riuscito ad arrivare lì… beh, sarebbe stato difficile dato che i trafficanti l’avevano tradito, ma avrebbe comunque trovato un modo per andarsene da quell’isola.

La parte difficile era tentare di trovare la strada. Se fosse corso direttamente lungo la traiettoria che aveva seguito all’inizio, ripercorrendo i propri passi, sarebbe stato facile trovare la strada, ma non ci sarebbe stata possibilità di sfuggire agli uomini che gli stavano dando la caccia. Tano non osò neppure fermarsi del tutto, anche se i rumori di inseguimento alle sue spalle erano stati sostituiti da suoni di battaglia.

Gli parve di riconoscere l’inizio del sentiero che portava alla spiaggia e si affrettò a raggiungerlo, tenendo gli occhi ben aperti per possibili imboscate. Sembrava non esserci nessuno lì. Solo un po’ di strada ancora e sarebbe arrivato alla barca, e sarebbe riuscito a…

Svoltò l’angolo alla spiaggia e si fermò. Lì c’era uno degli Abbandonati, massiccio e muscoloso. Stava sulla barca di Tano, o almeno sopra a ciò che ne rimaneva. Anche sotto agli occhi di Tano il prigioniero la stava colpendo con una spada che sembrava un fiammifero nelle sue mani, smembrando le tavole che restavano.

Tano si sentì sprofondare il cuore nel petto.

Ora non c’era nessuna via di fuga.




CAPITOLO NOVE


Quando Lucio tornò al castello le esecuzioni stavano ancora continuando. Era proprio comedoveva essere. Non voleva che i suoi uomini vi mettessero fine troppo rapidamente. Voleva essere lì per godersi lo spettacolo.

Più di tutto voleva che ci fosse Ceres e che vedesse la scena per quanto tempo fosse possibile. Lucio guardò verso l’alto, verso la finestra dove sapeva che lei si trovava incatenata immobile, costretta a guardare tutto. C’era una certa soddisfazione in questo.

Ancora di più ce n’era nel guardare il cortile dove le esecuzioni avevano luogo. Lì uomini e donne erano inginocchiati in file precise mentre i boia si muovevano tra loro con le asce. Anche mentre guardava ne vide uno spingere un uomo a terra, sollevare l’ascia in alto e farla scendere disegnando un arco preciso che fece rotolare la testa della vittima a terra.

“Cosa c’è?” chiese Lucio con voce che si faceva rabbiosa. Era stato via per un’ora o due al massimo. Ma già sembrava che un’intera riga di uomini di Lord West fossero stati uccisi, praticamente tutti decapitati.

“Stiamo solo facendo ciò che avete ordinato, vostra altezza,” disse il boia. “Giustiziando queste persone.”

“E state facendo un caos pazzesco!” rispose seccato Lucio. O piuttosto, non stavano facendo abbastanza caos. “Li decapitate? Voglio che soffrano! Voglio che siate un po’ creativi. Non vi ho forse detto di usare ogni mezzo di esecuzione che vi venga in mente?”

“Molti degli uomini di Lord West hanno puntualizzato di essere nobiluomini,” spiegò il boia. “E in quanto tali hanno il diritto di scegliere la morte per spada o ascia invece di…”

Lucio allora lo colpì, facendo affondare il pugno ricoperto di armatura nello stomaco dell’uomo. Il boia era grande e grosso, ma Lucio lo colpì talmente forte da farlo piegare in due. Poi gli strappò l’ascia di mano e con un rapido movimento la fece roteare colpendoloalla schiena. Quando l’uomo cadde gridando, Lucio tirò estraendo la lama.

“Non hanno alcun diritto oltre a quelli che dico io! E anche con un’ascia, dovreste essere capaci di fornire loro una morte che sia orribile. Qui, lasciate che vi faccia vedere!”

Colpì di nuovo, e di nuovo ancora, inveendo sul boia fino a che fu certo che tutti gli altri capissero cosa avrebbero affrontato se non avessero obbedito.

Quando ebbe finito, Lucio si guardГІ attorno alla ricerca di un bersaglio adatto da cui cominciare. Forse se avesse dato loro un esempio, quei bifolchi avrebbero finalmente capito cosa voleva da loro.




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